Quali sono i grani antichi? Sono veri i benefici per gli intolleranti al glutine?

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Pane e pasta con farina di cereali antichi, evocano certamente il sapore delle ricette naturali, un’idea di coltivazioni eco-sostenibili, di benessere e salute. E un leggero richiamo alle tradizioni di una volta.

Da un pò di tempo, oltre ai negozi bio ed equo-solidali, le farine e i prodotti di grani antichi come il Senatore Cappelli, il Saragolla, la Timillia, il Ruffello e tanti altri, compaiono anche tra gli scaffali dei supermercati. Richiami epici, ma prezzi da superfood, non proprio amichevoli per i portafogli.

Solo moda? Affascinanti storie di marketing? Scopriamolo insieme! Sei pronto? Iniziamo.

In questo articolo si parla di:

  • Grano Senatore Cappelli, l’ultimo dei grani antichi o il primo di quelli moderni?

  • Quali sono i grani antichi?

  • I grani antichi contengono davvero meno glutine?

  • I grani antichi sono più digeribili per chi soffre di sensibilità o intolleranza al glutine?

  • I grani non sono tutti uguali

Grano Senatore Cappelli, l’ultimo dei grani antichi o il primo di quelli moderni?

Tutto è cominciato con il grano duro Senatore Cappelli, che già da qualche anno è asceso alla ribalta grazie ad alcuni gruppi di agricoltori e qualche pastificio, che hanno ripreso la coltivazione di questo grano antico. Il Cappelli è forse l’ultimo dei grani antichi, sai perché?

Perché proprio tra gli anni '20 e i ‘30, uno dei più grandi genetisti al mondo, il professor Nazareno Strampelli, iniziò ad effettuare delle selezioni di varietà di grano attraverso l’innovativo (per i tempi) metodo dell’incrocio tra diverse varietà. Fu così che, incrociando una varietà italiana con un grano algerino, tirò fuori un incrocio che chiamò “grano Senatore Cappelli”, in onore di quel Senatore che ne finanziò la ricerca. Il grano duro Cappelli migliorò le rese per ettaro e fu oggetto della famosa “Guerra del Grano”, sponsorizzata da Mussolini, per rendere l’Italia autosufficiente per la produzione e il consumo del grano.

Fino a quel momento, l’unica selezione fatta sui grani era quella che i contadini eseguivano, scegliendo le piante migliori e conservandone i semi di anno in anno. Quelli che i contadini si scambiavano e seminavano erano i grani da sempre esistiti. Molto spesso nei campi vi erano diverse varietà di grano, con una enorme biodiversità. Dal Senatore Cappelli in poi, il miglioramento genetico attraverso gli incroci, contribuirà ad una selezione delle sole varietà più produttive e più resistenti alle avversità climatiche. Da qui cominciano i grani moderni, sempre più selezionati, e con una biodiversità nettamente inferiore.

La moda del Cappelli durò comunque relativamente poco. Era un grano alto, che si allettava facilmente sotto l’azione del vento e della pioggia. Dal dopoguerra in poi, la modernizzazione dei consumi e il benessere esigevano quantità maggiori di materie prime, pertanto si iniziò a sperimentare il miglioramento genetico con l’azione delle radiazioni. E fu proprio in un centro dell’ENEA in Italia (Fonte: Rivistadiagraria.it), che irradiando il grano cappelli con i raggi X, si provocò una mutazione genetica che portò ad una nuova varietà di grano, denominata “Creso”. Il Creso, ancora oggi molto diffuso, è un frumento molto basso e con un’alta produttività, cioè ha più spighe e meno paglia!

Chiaramente le radiazioni furono poi bandite negli anni successivi e sono tuttora vietate in tutta Europa.

Con il Creso sono poi stati fatti altri incroci. Oggi le varietà di grano duro e grano tenero utilizzate sono poche e soprattutto i campi sono quasi esclusivamente mono-varietali.

Quali sono i grani antichi?

Abbiamo visto come in realtà il Cappelli sia davvero al confine tra i grani antichi e quelli moderni. Ma quali sono quelle varietà di grano che sono state tramandate per secoli dagli agricoltori e che negli ultimi cento anni sono quasi andate perse?

La Sicilia è la patria dei grani antichi. Sono state censite più di 50 varietà diverse, tra le quali le più note sono la Tumminia e il Russello. Poi ci sono i grani teneri come il Gentil Rosso, Verna, ed altri ancora. Le banche dei semi degli istituti di cerealicoltura conservano un’ampia gamma di varietà di grani.

Se poi vogliamo parlare in generale di cereali antichi, allora possiamo certamente affermare che cereali come l’orzo, il farro, avena e segale conservano davvero un patrimonio genetico antico, poihé nei secoli non hanno subito l’attenzione riservata al grano, sono varietà scevre da incroci e miglioramenti genetici forzati per aumentarne la produttività. Tanto è vero che la loro coltivazione è rimasta in aree residuali del globo.

Farro e orzo sono difatti coltivati residualmente solo in alcune zone del centro e sud Italia. L’orzo è probabilmente il cereale più antico, ed è coltivato soprattutto per la produzione del malto della birra. Orzo e avena sono poi utilizzati più che altro per l’alimentazione del bestiame, mentre la segale è molto diffusa in nord europa per il consumo di pane nero. Questi quattro cereali, per via del loro patrimonio genetico variegato, si adattano a condizioni anche estreme di terreno e di clima, difatti sono perlopiù coltivati in zone di montagna o collinari e con temperature abbastanza fredde.

Proprio da questi cereali sono partiti gli esperimenti di miglioramento genetico evolutivo del Professor Ceccarelli. Ceccarelli, al contrario delle moderne prassi di agricoltura, incentrate sull’utilizzo di una unica varietà di cereale (solitamente la più produttiva), ha invece iniziato a seminare sullo stesso campo, varietà differenti di sementi: per esempio, invece di seminare un’unica tipologia di grano, ha raccolto semi di diverse varietà, con differente patrimonio genetico. Ogni anno questi semi vengono poi raccolti e ri-seminati l’anno successivo.

Le diverse varietà fanno si che le piante si adattino diversamente alle condizioni pedo-climatiche, secondo un processo evolutivo di selezione naturale. In questo modo se si presenta un’avversità o una malattia, questa non colpirà tutte le piante, appunto perché ogni varietà reagisce in maniera diversa. Ceccarelli con i suoi progetti dimostra come il futuro contro la scarsità di cibo, non sta nella ricerca di super-varietà geneticamente modificate e iper-produttive, ma nella biodiversità di un patrimonio genetico che conserva la memoria di qualsiasi adattamento alle condizioni più disparate.

Ed ora facciamo chiarezza su alcune domande che spesso vi fate in merito ai grani antichi.

I grani antichi contengono davvero meno glutine?

Giovanni Dinelli, professore del Dipartimento di Scienze Agrarie all'Università di Bologna, sostiene che “la superiorità nutrizionale dei grani cosiddetti antichi è legata alla loro inferiorità nella performance produttiva”. Secondo il professore, i grani antichi, avendo taglie più grandi e quindi apparati radicali più sviluppati, sono in grado di esplorare più terreno, riuscendo ad assorbire un quantitativo maggiore di minerali (circa il 5/10% in più rispetto ai grani moderni), che difatti si riscontra poi nella granella. Stessa cosa vale per gli antiossidanti.

Per quanto riguarda il glutine invece, “non è assolutamente vero che quelli antichi ne hanno meno”, dice ancora Dinelli, “ma è la qualità del glutine ad essere diversa”.

Negli anni, sono state selezionate varietà di grano che dovevano rispondere alle esigenze industriali: grani con glutine molto forte per poter adattarsi alla lavorazione con il lievito di birra. Una volta si usava la pasta madre, che a differenza del lievito di birra, produce meno gas e quindi non ha necessità di avere una maglia glutinica forte ed elastica. Oggi l’industria richiede grani con indice di forza di 250 W (parametro che indica la forza o resistenza del glutine alle sollecitazioni delle operazioni di impastamento, formatura e lievitazione). Le vecchie varietà raggiungono a malapena valori di 60/70 W come forza del glutine, parimenti a cereali come farro, orzo e segale.

I grani antichi sono più digeribili per chi soffre di sensibilità o intolleranza al glutine?

Il dibattito sulla sensibilità o intolleranza al glutine è più acceso che mai. Per quanto sia vero che la quantità di glutine sia pressappoco simile in tutte le tipologie di grano, pare che oltre al glutine, vi siano anche altre proteine che possano suscitare reazioni di tipo immunitario. Probabilmente l’evoluzione genetica delle attuali varietà di grano, ha favorito alcuni tipi di proteine una volta sconosciute al nostro corredo genetico e al nostro sistema immunitario. I detrattori dei grani antichi spiegano l’impennata di soggetti celiaci al semplice fatto che ad oggi è più semplice diagnosticare la malattia. Ma i dati dicono invece un’altra cosa.

Sempre il professor Dinelli spiega quanto riscontrato dalla comunità scientifica:

Anche se ancora non abbiamo la certezza scientifica, riteniamo che tutta questa forza introdotta nel glutine abbia una correlazione con i fenomeni di intolleranza al frumento. Non parlo solo di celiachia, che è scatenata dall’esposizione al glutine da parte di soggetti con predisposizione genetica, ma anche di intolleranze che non sono a base autoimmune. Sembra infatti che un glutine forte scateni una maggiore reazione da parte del nostro sistema immunitario intestinale”. È altrettanto innegabile che a fronte di una diminuzione nel consumo di pane - “considerando ovviamente che il pane fatto con pasta madre pesa di più, nel 1930 si consumava mezzo kg di pane al giorno, mentre oggi se ne mangia meno di 80 g” - sono aumentati i problemi gastrointestinali legati al suo consumo. E non è solo questione di un maggior numero di diagnosi: “In un ospedale americano è stato analizzato con gli attuali metodi diagnostici il sangue, congelato, risalente a pazienti vissuti negli anni 50. Su oltre 9000 campioni è stato visto che l’incidenza della celiachia (0.2%) era molto più bassa, da 4 a 5 volte in meno rispetto a oggi. Non è un caso, a mio avviso, che i tre prodotti più modificati nel corso della storia, ovvero latte (le vacche di oggi producono tantissimo latte ma con una caseina meno digeribile), pane, pasta, siano quelli che creano i maggiori problemi di intolleranza nella nostra dieta.
— http://www.gamberorosso.it/it/food/1045450-grani-antichi-grani-autoctoni-glutine-genetica-smontare-le-leggende-con-la-scienza-e-la-ricerca

Ci sono diversi studi in vivo, cioè realizzati sull’uomo, che dimostrano la maggiore tolleranza al glutine e alle proteine dei grani tradizionali autoctoni (Leggi quest’articolo del Professor Spisni, docente di Fisiologia della nutrizione Università di Bologna, comparso sul FattoAlimentare).

I grani non sono tutti uguali

Non è quindi vero che i grani antichi e moderni sono tutti uguali. I grani antichi, o meglio autoctoni o locali, come volete li chiamate, hanno peculiarità che meglio si adattano alla coltivazione biologica e a processi produttivi soft come la macinazione a pietra, la lievitazione lunga con lievito madre e l’essiccazione lenta della pasta. Quindi ecco alcuni motivi per i quali i grani non sono tutti uguali e perché bisognerebbe scegliere quelli antichi:

  1. I grani moderni sono tutti ibridi, cioè derivanti da precisi incroci, le cui sementi, dopo la prima generazione, perdono alcune caratteristiche di miglioramento genetico (resistenza a malattie, adattabilità ecc.) pertanto, l’agricoltore è costretto a non poter conservare le sue sementi, ma ogni anno andarle a comprare. Chiaramente gli ibridi sono dei brevetti in mano a poche multinazionali. Le vecchie varietà invece, non sono ibridi e l’agricoltore non è costretto ad acquistarne i semi ogni volta. Questo poi genera popolazioni di sementi diversamente evolute, ma questo è proprio il bello della biodiversità.

  2. Data la rusticità genetica delle vecchie varietà, queste non hanno bisogno di essere conciate (la concia è un trattamento a base di sostanze (agrofarmaci, fertilizzanti o biostimolanti) finalizzate a contrastare l’azione di patogeni e di avversità delle piante. Ecco perchè le varietà antiche sono le uniche adattabili all’agricoltura biologica e biodinamica.

  3. Le antiche varietà competono ottimamente con le erbe infestanti (sapete tutti che occorre fare 1-2 giri di erbicida sui grani ibridi coltivati in convenzionale, vero?)

  4. Non è necessario trattarli (al contrario dei grani ibridi convenzionali che si fanno fino a 3 giri di fungicida)

  5. Infine, le varietà antiche, avendo glutine molto debole si adattano meglio ai prodotti tradizionali come la macina a pietra e le lievitazioni lunghe con pasta madre, preservandone le caratteristiche nutrizionali.

Certo sono varietà che rendono molto meno (25/30 quintali per ettaro contro i 60/80 quintali degli ibridi moderni), ma a tutto vantaggio della biodiversità, dell’ecosistema e della salute, anche se tutto questo richiede dei costi superiori.

Francesco Ferri | Tecnologo Alimentare

Tecnologo Alimentare e Nutrizionista, mi occupo di qualità degli alimenti e progetto piani alimentari personalizzati

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