La Dieta Insostenibile: virus, malattie croniche e inquinamento

Più che il Coronavirus, uccide la dieta insostenibile a base di carne: questa è alla base delle principali cause di morte nel mondo, compreso l’aumento delle emissioni di gas serra e delle epidemie virali in seguito all’incremento spropositato degli allevamenti intensivi nei paesi emergenti.

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“Il mondo deve capire meglio quale sia il potenziale di un’emergenza causata da una pandemia influenzale. E’ lecito attendersi una pandemia, può essere causata da H5N1 o da un nuovo ceppo virale. Può succedere stanotte, l'anno prossimo, o fra 10 anni. I segnali sono allarmanti: il numero di infezioni da H5N1 in animali e uomini sta crescendo; piccoli focolai epidemici sono stati documentati, suggerendo che il virus è vicino a manifestare un passaggio uomo-uomo. Intanto il virus continua a evolvere grazie al riassortimento genetico nel passaggio tra polli, suini, uomini.”

No, non è l’ennesimo bollettino di guerra a cui siamo abituati da diverse settimane.

Sono le conclusioni di una relazione dal titolo “Prepararsi alla prossima Pandemia”, comparsa su Foreign Affairs nel Luglio del 2005!!

Si esattamente 15 anni fa! Una relazione redatta da Michael Osterholm – direttore del Centro per la ricerca e la gestione delle malattie infettive – Ufficio affari esteri, Usa - tradotta in Italia dall’Istituto Superiore della Sanità e consultabile nel sito dell’ISS (Prepararsi alla prossima pandemia).

Difatti la “profezia” si è avverata dopo appena 4 anni: nell’aprile del 2009 è scoppiata in Messico l’epidemia dell’influenza suina (Virus H1N1), e il successivo giugno 2009 l’OMS dichiara la Pandemia, che fortunatamente si è diffusa gravemente solo nelle Americhe, con bassa penetrazione nel resto del Mondo. L’OMS parlò ufficialmente di circa 18mila vittime. Qualche anno dopo alcuni studi epidemiologici (Fonti: Wikipedia e Lescienze) sostenevano che invece le vittime erano almeno 10 volte superiori.

Fatto sta che nonostante queste avvisaglie, siamo riusciti comunque a farci trovare impreparati alla seconda pandemia del nuovo millennio, ben 15 anni dopo.

Come facevano nel 2005 a prevedere una Pandemia influenzale entro 10 anni?

Semplicemente gli scienziati avevano osservato che il 70% delle epidemie degli ultimi decenni e tutte le pandemie avevano avuto origine da virus animali, in particolare da animali selvatici. Questa diffusione è stata causata dall’aumento delle interazioni tra animali selvatici e animali da allevamento.

Quasi tutti gli episodi hanno avuto origine in paesi emergenti come Cina, Messico, Vietnam ecc.

In questi paesi da qualche decennio sta aumentando il consumo di carne e di conseguenza, sono stati introdotti allevamenti intensivi di suini, polli e bovini, spesso su terreni sottratti alla foresta, quindi adiacenti al contatto stretto con animali selvatici, normalmente vettori di virus e batteri.

Come dichiarato dalla Virologa Ilaria Capua, in una intervista di Marco Montemagno:

“Noi siamo parte del problema, siamo entrati in luoghi che per noi dovrebbero rimanere inaccessibili, abbiamo catturato degli animali, li abbiamo messi a convivere, vivi, con specie con le quali non sarebbero mai entrati in contatto, li abbiamo macellati, ed ecco che un virus che era tipico di quegli animali ha fatto quello per cui è stato programmato: propagarsi, ma ad una velocità concessagli solo da noi, dal nostro continuo spostarsi ed essere in contatto”.

Difatti, la comparsa del virus Nipah in Malesia nel 1998 è stata proprio collegata all'intensificazione della produzione di suini ai margini delle foreste tropicali dove vivono i pipistrelli della frutta; le origini dei virus SARS (2003) ed Ebola (2014) sono state ricondotte a pipistrelli cacciati a causa della deforestazione o che abitano regioni africane in crescente sviluppo umano (Ebola).

E tutto questo, ribadisco, si conosceva già nel 2005, dopo la terribile epidemia della Sars.

Cosa hanno fatto nel frattempo i governi?

In realtà poco. Anzi, diciamolo…nulla!

Però nel 2015 l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha sottoscritto un programma di sviluppo sostenibile chiamato Agenda 2030. All’interno di questo enorme programma era previsto anche il rimodellamento dello sviluppo degli allevamenti di bestiame in relazione all’inarrestabile aumento dei consumi dei nuovi paesi emergenti, soprattutto Cinesi e Indiani, che fino a pochi decenni fa, pensate, erano popolazioni prettamente vegetariane!.

Lo sviluppo economico porta ricchezza e possibilità di consumo di carne, che per quei popoli è un pò uno “status”, imitazione del modello occidentale.

Lo sviluppo economico deve tener conto del rischio Pandemie

Nelle discussioni inerenti ad Agenda 2030 le istituzioni governative e non, vedono gli allevamenti intensivi, come una soluzione alla richiesta di cibo in quei paesi ad alto sviluppo demografico.

Alcuni ricercatori però chiedono un compromesso all’inesorabile sviluppo degli allevamenti intensivi:

  • primo perché il fenomeno è ambientalmente insostenibile;

  • secondo per il fatto che questa perturbazione dei delicati equilibri ecologici, rischia di aumentare esponenzialmente i fenomeni epidemiologici.

Queste epidemie tendono poi sempre più a diventare pandemiche, visto il ritmo di aumento della popolazione mondiale, e il crescente spostamento delle persone tra i vari continenti (Fonte: PNAS).

E anche qui, non si è fatto in tempo a completare i lavori di Agenda 2030, che ci siamo ritrovati già nel 2020 colpiti dal pericolo che ormai in tanti presagivano.

Come prepararsi per il futuro?

In questo momento la nostra attenzione è distorta dai media che bombardano con dati e notizie allarmistiche, distogliendoci dalle altre cause di morte del pianeta.

Non si muore solo di virus

Ad oggi, 22 aprile 2020, secondo gli ultimi dati aggiornati, nel mondo ci sono oltre 178 mila morti. Dati provvisori, vedremo come finirà.

Nel frattempo abbiamo la certezza che per esempio, nel solo 2016 si sono registrati:

  • quasi 18 milioni di morti di malattie cardio-vascolari (ictus, infarto ecc.);

  • quasi 9 milioni di morti di cancro;

  • quasi 3 milioni e mezzo di morti per malattie respiratorie gravi;

  • poco più di 3 milioni di morti di diabete, malattie del sangue ed endocrine.

il resto lo potete leggere in questa infografica.

2016: numero totali di decessi nel mondo in funzione delle cause

2016: numero totali di decessi nel mondo in funzione delle cause

Per il momento, il covid-19 si pone in basso alla classifica, con numeri superiori ai morti per morbo di Parkinson e sotto il numero di morti durante o a seguito della gravidanza.

Soffermandoci sui primi tre posti, possiamo affermare che le malattie cardiovascolari sono per buona parte imputabili alla dieta, in particolare al livello di trigliceridi e colesterolo, di cui la carne è il principale vettore.

Le cause di tumore sono per un buon 30% imputabili a cause di cattive abitudini alimentari.

Da questa infografica dell’EHM si vede come polmone, stomaco e intestino sono i tre tipi di cancro che ammazzano maggiormente.

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Il cancro al polmone ha come causa principale l’inquinamento atmosferico; il cancro allo stomaco e all’intestino hanno una chiara causalità nelle abitudini alimentari.

Livello di cancerogenicità dei vari tipi di carne secondo l’IARC

Livello di cancerogenicità dei vari tipi di carne secondo l’IARC

L’International Agency for Research on Cancer (IARC) classifica salumi e altre carni lavorate come Gruppo 1, cioè “causa di tumori” accertata; il resto delle carni rosse le classifica nel Gruppo 2, cioè “probabilmente causa di tumori”.

Dove voglio arrivare?

Il consumo di carne è una delle principali cause di mortalità nel mondo per malattie cardiovascolari e tumori allo stomaco e all’intestino.

Gli allevamenti intensivi stanno intensificando il fenomeno di deforestazione con un aumento dell’incidenza di diffusione di virus animali trasmissibili all’uomo e con rischio di epidemia e pandemia.

Ma non finisce qui.

I danni ambientali, umanitari ed economici dell’allevamento e dell’agricoltura intensiva

Secondo l’Accademia dei Georgofili, agricoltura e allevamento sono responsabili dei più grossi danni ambientali: dall’emissione di gas serra, alla deforestazione ed erosione di suolo fertile, inquinamento dell’acqua e dell’aria, perdita della biodiversità e devastazione delle aree marine costiere.

Come mai?

Nel mondo sono sfruttati circa 5 miliardi di ettari di suolo agricolo.

Di questi, 3.5 miliardi di ettari sono destinati a pascoli e allevamenti;

i restanti 1.6 miliardi di ettari sono occupati dalle colture, di cui più di 0.5 milardi coltivati per produrre mangimi.

In pratica il 78% della terra agricola del mondo è occupata direttamente dall’allevamento e indirettamente per l’allevamento.

  • un metro quadro di suolo investito a mais o soia fornisce annualmente circa 100 grammi di proteina.

  • un metro quadro di suolo può produrre annualmente 13 grammi di proteina con polli da carne,

  • 8 grammi se vi alleviamo suini,

  • mentre se ne ricava un solo grammo quando destinato ad allevamenti di bovini da carne.

La resa proteica dell’unità di suolo si riduce quindi di circa 100 volte passando dai vegetali come mais o soia alla carne bovina.

L’agricoltura consuma il 70% dell’acqua dolce disponibile sulla terra.

  • Produrre un chilogrammo di proteina da legumi richiede circa 20 metri cubi di acqua dolce,

  • mentre ce ne vogliono più di 30 metri cubi per ottenere un chilogrammo di proteina da pollame,

  • circa 60 metri cubi di acqua per ottenere un Kg di proteina da suini e,

  • oltre 110 metri cubi di acqua per un Kg equivalente di proteina da bovini.

Questa infografica traduce in maniera chiara questi dati:

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con la tipica dieta americana basata su un alto consumo di carne, occorrono due campi di football coltivati e allevati per sfamare una persona in un anno; in un regime vegetariano, gli stessi due campi da football, sfamano 14 persone.

Ciò rende l’idea dell’inefficienza delle calorie e delle proteine animali rispetto alle calorie e proteine ricavate da una dieta vegetariana.

La Dieta Insostenibile

La prestigiosa rivista Nature nel 2014 pubblicò l’articolo “Le diete globali collegano la sostenibilità ambientale e la salute umana”.

Secondo gli autori, entro il 2050 queste tendenze dietetiche basate sul consumo di carne e derivati, se non controllate, contribuiranno in modo determinante all'aumento stimato dell'80% delle emissioni globali di gas serra derivanti direttamente dalla produzione alimentare e indirettamente dalla deforestazione del territorio.

Inoltre, questi cambiamenti nella dieta stanno aumentando notevolmente l'incidenza del diabete di tipo II, delle malattie coronariche e di altre malattie croniche non trasmissibili che riducono le aspettative di vita globali. E loro non citano il rischio di diffusione di virus e malattie epidemiche e pandemiche.

Le diete alternative di tipo vegetariano e vegano, che offrono sostanziali benefici per la salute, se ampiamente adottate, possono ridurre le emissioni globali di gas serra nell'agricoltura, ridurre la deforestazione e di conseguenza preservare la biodiversità, e aiutare a prevenire sia le malattie non trasmissibili croniche legate all'alimentazione, che quelle trasmissibili legate ai virus e batteri di origine animale.

Dieta-Ambiente-Salute sono tre variabili che si influenzano l’un l’altra e questa è forse oggi la sfida globale più importante per la salute pubblica.

E allora che si fa? Aboliamo la carne?

Non so se qualche istituzione ci stia già lavorando su, oltre ai buoni propositi di Agenda 2030 dell’ONU.

Io non sono nessuno per poter dare soluzioni, ma sintetizzando ciò che emerge da questa mia ricerca personale si possono fare delle considerazioni:

visto che il consumo di carne impatta direttamente sull’ambiente (inquinamento, consumo di suolo, acqua e altre risorse) e sulla salute umana (malattie croniche collegate alla dieta e malattie trasmissibili collegate ai virus di origine animale), sarebbe auspicabile una politica di disincentivo al consumo di carne.

Il trend è già in leggera diminuzione nei paesi occidentali, soprattutto in Europa, per via dell’ormai conclamato legame del consumo di carne con malattie cardiache e alcuni tumori.

Ma il consumo è in crescita esponenziale nei paesi emergenti come India e Cina.

Quindi a livello globale servirebbe un accordo intergovernativo per cominciare a far capire a quei popoli:

“attenti, la vostra millenaria alimentazione vegetariana vi ha preservato per secoli da malattie croniche a voi sconosciute fino a pochi anni fa. Quindi, lasciate stare il modello dietetico occidentale! E’ sbagliato! Tornate a coltivare e mangiare soia e altri legumi per ricavare proteine.”

Si potrebbero pensare livelli di tassazione elevati sui consumi di carne, classificandoli come alimenti di lusso.

Stiamo assistendo in questi giorni a come sia possibile imporre per decreti delle impensabili limitazioni delle libertà personali. Pertanto non sarebbe poi così fantasioso vedersi imporre limitazioni al consumo di carne, lasciando la libertà a chiunque di poterla comprare e mangiare, ma disincentivandone il consumo. Non è una levata da vegano, sono un vegetariano che mangia carne la domenica! Però da questi atteggiamenti responsabili dipende il futuro del pianeta e della nostra salute, e non credo si possano affidare solo alla buona volontà dei singoli.

Questo passaggio implica una revisione del modello dietetico al quale siamo abituati.

Rinunciare alla carne, ai salumi, al pollo ecc. significa anche rivedere il modello di dieta delle comunità. Significa passare...o meglio tornare….ad uno stile di dieta rurale, vegetariana, sul modello mediterraneo. Molte aziende dovrebbero riconvertirsi, spingere sulle produzioni vegetali e sulla trasformazione di alimenti a base di proteine vegetali come i legumi.

Localismo vs globalismo

Infine credo che vada fatta una ulteriore riflessione. Tutto questo che viene descritto in questo articolo è la conseguenza di un trentennio di globalizzazione sfrenata, incontrollata, dove le merci viaggiano da un continente all’altro in un vorticoso crescendo di abitudini consumistiche spinte dal marketing, dall’immagine, dai media.

Ma se ognuno tornasse a mangiare gli alimenti tipici del proprio territorio?

Non voglio dire, bandiamo il commercio dei prodotti alimentari. Se un prodotto tipico viene riconosciuto e apprezzato in tutto il mondo, perchè limitarne la commercializzazione e il consumo? Ma a mio parere, i vari Stati dovrebbero spingere prima di tutto verso una sana e moderata autarchia, in modo da favorire il commercio locale, il consumo dei prodotti del territorio. Questo tipo di politiche avrebbero il doppio effetto di favorire un’economia circolare, dove il denaro gira e rimane sul territorio. Infine, diminuendo i trasporti di prodotti alimentari tra i vari territori, Stati, Continenti, ne gioverebbe l’impatto sulle emissioni e il consumo di risorse.

Concludo con una citazione del filosofo Nassim Taleb, che mette in risalto i grandi errori occorsi quanto più si sale a livello di organizzazioni extra-territoriali:

Più vai in alto, più aumenta incompetenza / incoscienza (con piccole eccezioni).

Se questo virus insegna qualcosa, è il localismo.

Voi

La vostra famiglia

La vostra città

La vostra regione / Stato

Governo federale: UE

ONU / OMS


Francesco Ferri | Tecnologo Alimentare

Tecnologo Alimentare e Nutrizionista, mi occupo di qualità degli alimenti e progetto piani alimentari personalizzati

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